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12

giugno

Plinio Il Vecchio scrisse: “Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l’acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso”.

 

Gli acquedotti romani furono costruzioni molto sofisticate, il cui livello qualitativo e tecnologico non ebbe uguali per oltre mille anni dopo la caduta dell’Impero Romano.  I Romani hanno costruito numerosi acquedotti per portare acqua da sorgenti distanti nelle loro città, rifornendo thermae, latrine, fontane e abitazioni private. Le acque di scarico furono eliminate con complessi sistemi fognari e scaricate in corsi d’acqua nelle vicinanze, mantenendo le città pulite e prive di effluenti.

Gli acquedotti spostavano acqua solo per gravità, essendo costruiti con una leggera pendenza verso il basso all’interno di condotti di pietra, mattoni o cemento. La maggior parte era sepolta sotto terra, e ne seguiva i contorni; dei picchi che ostruivano furono aggirati o, meno spesso, forati con un tunnel. Dove c’erano valli o pianure, il condotto era sostenuto da opere con arcate, o il suo contenuto era immesso a pressione in tubi di piombo, ceramica o pietra e sifonati. La maggior parte dei sistemi di acquedotto comprendeva vasche di sedimentazione, paratoie e serbatoi di distribuzione per regolare la fornitura secondo le necessità.

I primi acquedotti

Prima dello sviluppo della tecnologia degli acquedotti, i Romani, come la maggior parte dei contemporanei nel mondo antico, si affidavano a fonti d’acqua locali come sorgenti e corsi d’acqua, integrate da falde idriche, da pozzi di proprietà pubblica o privata, e da acqua piovana stagionale raccolta dai tetti e conservata in vasi di stoccaggio e cisterne. La dipendenza delle comunità antiche da tali risorse idriche limitava il loro potenziale di crescita. Già con la prima età imperiale, gli acquedotti della città sostenevano una popolazione di oltre un milione, e un approvvigionamento idrico abbondante per servizi pubblici che erano diventati una parte fondamentale della vita romana.

 

Acquedotti nella città di Roma

Roma aveva diverse sorgenti dentro il cerchio delle mura, ma l’acqua delle falde era notoriamente sgradevole; l’acqua del fiume Tevere era gravemente inquinata ed erano presenti malattie trasmesse da acqua. Le necessità di acqua della città avevano probabilmente di gran lunga superato le sue forniture locali dal 312 a.C., quando il primo acquedotto cittadino, denominato Aqua Appia, fu commissionato dal censore Appio Claudio Cieco.

L’Aqua Appia è stato uno dei due grandi progetti pubblici del tempo, l’altro era una strada strategica tra Roma e Capua, la prima tappa della via Appia Antica. Entrambi i progetti avevano un significativo valore strategico, giacché in quel momento la terza guerra sannitica era in corso da circa trent’anni. La strada permetteva rapidi movimenti di truppe, e o per calcolo disegno o fortunata coincidenza, la maggior parte del percorso dell’Aqua Appia correva all’interno di un condotto interrato, relativamente al sicuro da attacchi.

Era alimentato da una sorgente distante 16,4 km da Roma, aveva un dislivello di 10 metri durante il suo percorso e scaricava circa 75.500 metri cubi di acqua ogni giorno in una fontana al mercato del bestiame di Roma, il Foro Boario, uno degli spazi pubblici più in basso della città. Un secondo acquedotto, l’Anio, fu commissionato una quarantina di anni più tardi, finanziato dal bottino sequestrato a Pirro. La sua portata era più che doppia di quella dell’Aqua Appia, ed entrò in città su arcata, rifornendo di acqua le zone più elevate della città.